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Ricordiamo Don Stefano Ferreri a 70 anni dalla morte

4 giugno 2016

Ricordare oggi la figura del nostro Fondatore don Stefano Ferreri

Ricordare oggi la figura del nostro Fondatore don Stefano Ferreri è per noi Sorelle della Piccola Betania non solo la gioia di ricordare opere e gesti di un sacerdote che fu parroco della comunità dei santi Pietro e Paolo di Fiamenga, che fu missionario in tutta  la sua vita, fondatore con Germana Resch del nostro Istituto con le sue varie forme di collaborazione e servizio, ma è soprattutto la gioia di riscoprire nell’attualità quelli che sono stati i suoi insegnamenti e la sua testimonianza che attingiamo dalle parole e dagli scritti di quanti hanno avuto la grazia di conoscerlo e soprattutto di vivergli accanto.

Siamo molto liete e, ci sembra provvidenziale che l’occasione del 70° anniversario della sua morte capiti proprio nell’anno dedicato da Papa Francesco alla divina misericordia, perché è proprio la misericordia che vediamo continuamente emergere nel suo cuore di sacerdote, di missionario, di parroco e di fondatore della nostra comunità “Piccola Betania”.

Stefano, fin da piccolo fu attratto da tutto ciò che è bello, riconosceva nella bellezza la presenza di Dio e con gioia la contemplava, senza rinunciare al gioco e a qualche innocente birichinata in compagnia del fratello Matteo che lo aveva anche aiutato a legare un carrettino alla coda della mucca.

Fu vediamo sempre docile e ubbidiente alla mamma e allo zio don Bartolomeo dal quale accettava con gratitudine le correzioni e ubbidiva.

Divenuto alunno delle scuole apostoliche “Regina Montis Regalis”, crebbe in lui il desiderio di continuare ad essere tutto del Signore e tutto dei fratelli per la sua maggior gloria che gli faceva esclamare molte volte: “Tutto per te, Mio Dio, tutto per te”. Amava intensamente la sua vocazione e, ancora giovane chierico, scrisse alla mamma che non deporrà l’abito, ma lotterà contro le insidie del demonio fino alla fine.

Con questa tenacia e volontà, troverà forza per affrontare le diverse e non facili vicende della sua vita.

Fin dai prima anni, Stefano rivelò un grande amore alla Madonna che continuamente pregava chiamandola Maria Immacolata.

All’età di 14 anni, il 15 agosto, festa di Maria assunta, il pensiero della madre di tutti che va in cielo anima e corpo, portò Stefano ad immaginare con la mente scene di paradiso. Si trovava in vacanza nella campagna di Bastia. Era vicina l’ora in cui si usava suonare la campana della piccola cappella, proprietà di famiglia presso la casa paterna. Il chierico Stefano non aveva più bisogno del fratello Matteo, sua fedele ombra di un tempo che, divenuto poi suo piccolo sacrestano, suonava il campanello per annunciare la messa del pretino in-erba;  ora è lui che afferra la fune della campana e suona a distesa, suona a lungo per chiamare gli abitanti della langa affinché vengano a cantare le lodi e le glorie della comune madre. In breve la chiesetta si riempì di fedeli oranti che dopo il rosario, ebbero la sorpresa di un panegirico improvviso. Stefano, salito su una sedia, parlò a lungo della Vergine Immacolata che contemplava assunta in cielo. Parlò con tanto ardore che i presenti rimasero commossi e pronosticarono che il giovanissimo chierico avrebbe fatto parlare di sé.

Decise di essere sempre sorridente e mantenne il proposito anche quando le varie prove da affrontare non lo aiutavano affatto.

Riusciva scoprire la mano di Dio in ogni evento, vedeva ogni persona profondamente amata da Lui e voleva fare conoscere e trasmettere questo amore che lo rendeva cordiale e premuroso con tutti e, divenuto sacerdote, tutti lo cercavano, desideravano stargli almeno vicino per sentirsi più buoni.

La sua determinazione era di essere un’altro Cristo! Cristo venne al mondo, visse, lavorò, gioì, soffrì per la salvezza di tutti. Don Stefano voleva prodigarsi fino alla fine per far conosce Gesù e il suo amore immenso per ognuno.

Trovava luce e forza nell’amore all’Eucarestia e nell’assiduo ascolto della Parola di Dio che spezzava per tutti con squisita carità e chiarezza e, nell’abbandono alla volontà del Padre che scopriva nella voce dei superiori, del padre spirituale e, in ogni incarico che gli veniva affidato.

Amava la musica che componeva e insegnava perché la riteneva mezzo efficace per aiutare giovani e adulti e, per esprimere il suo amore a Dio e a Maria. Nella musica trovò pure la bellezza che sempre cercava ma, era soprattutto attratto dalla bellezza della misericordia di Gesù che non solo contemplava ma, imitava con la sua vita: era consapevole che la misericordia di Dio richiede di diventare misericordiosi a nostra volta.

Vide nella nostra chiamata un segno tangibile della bontà ed infinita misericordia di Dio e volle chiamarci “Figlie del cuore Misericordioso di Gesù!  E ci invita a viverla e donarla”.

Il suo voler essere missionario nel mondo e poi, missionario in patria fu dettato dal desiderio di poter versare la misericordia di Dio nel cuore dei “miseri” di coloro che stentano a trovare Dio, che sono soli e abbandonati, che hanno bisogno di tutto.

Con questo scopo si dedicò fino all’esaurimento fisico agli operai italiani che, immigrati in Svizzera, rischiavano di pensare solo al proprio profitto economico dimenticando valori e Dio, situazione che si presenta anche nel mondo di oggi con le sue conseguenze.

Indirizzò perciò tutta la sua predicazione facendo emergere il pensiero dell’amore di Dio, “paziente, misericordioso, lento all’ira , pieno di grazia e di misericordia”.

Ma soprattutto manifestò la misericordia di Dio attraverso il servizio ministeriale del sacramento della riconciliazione a cui dedicò tanto tempo e tanta attenzione.

Fu dispensatore instancabile della misericordia di Gesù! Ricordano testimoni della sua epoca che non solo il suo confessionale era sempre assiepato da uomini, donne e bambini, ma che soprattutto trovavano in lui oltre ad un chiaro teologo e moralista, un pastore affettuoso che aiutava a gustare la misericordia di Dio e a rimanere non solo confortati ma decisi a vivere nella gioia del perdono, si sentivano rinnovati nell’amore di Dio.

Sempre dimentico di sé, conquistava il cuore dei piccoli e dei grandi, e andava in cerca di chi aveva bisogno di un padre, di un fratello, di un amico e, si faceva compagno di viaggio, di vita.

Don Stefano conosceva bene, sia gli operari della Svizzera che i suoi parrocchiani di Fiamenga, passava nelle case a portare una parola non solo di benedizione divina, ma anche di conforto umano, di solidarietà, di carità.

Andava a visitare il gregge affidatogli in casa per amministrare i sacramenti, in ospedale, in carcere, andava a incontrarli nelle strade, nulla lo fermava dal portare l’amore di Gesù, la sua misericordia.

Se con semplicità ripercorrerete la storia di don Stefano che potrete leggere nell'opuscolo che vi offriamo, scoprirete questi valori di servizio ai singoli ed alla comunità sia civile che religiosa che furono sempre presenti nel suo operare.

La dedizione alle persone che gli erano affidate era continua, non si risparmiava mai. Così faceva già tra i ragazzi di Genova quando era ancora fermo nel collegio “Brignole Sale Negroni” in attesa di essere chiamato per la missione, poi fra gli emigrati italiani in Svizzera e nei vent’anni trascorsi come parroco a Fiamenga.

Non badava a sé, alla sua stanchezza, alla sua debole salute, era un dono continuo ai fratelli, sapeva occuparsi del momento presente colmandolo di amore.

Aveva come massima: “non sappia la destra ciò che fa la sinistra”, per cui passava silenzioso senza destare ammirazione.

Ci sembra di poter scoprire nel nostro padre Fondatore lo stile e lo spirito di don Bosco, soprattutto per l’amore alla gioventù, per essi si prodigava in mille modi. Andava per le strade a cercare i ragazzi e li invitava alla missione per cantare, per stare buoni insieme. Li amava al punto che quando doveva riprenderli per qualche aspetto problematico mai li umiliava. Nulla toglieva alla loro personalità, ma amorevolmente li richiamava, sapeva cogliere i lati belli dei suoi ragazzi e ne godeva, nulla lasciava di intentato per aiutarli a migliorarsi. Li amava, li incoraggiava: “Sono certissimo che farai molto bene, sei in grado di farlo con l’aiuto di Dio e la tua buona volontà!” ed essi sentendosi amati corrispondevano al suo affetto.

Non solo amava i giovani ma ogni persona si sentiva al centro delle sue attenzioni e cure ed ognuno era stimolato ad essere più buono per renderlo felice.

La sua compagnia era piacevole non solo per la bontà che trasmetteva ma, perché era sempre sereno, sapeva sorridere e trasmetteva letizia con storielle e battute spiritose. Dava un nome agli animali che aveva in casa. Chiamava Bela Bilun la sua capretta, compagna di infanzia, alla quale non faceva mancare cibi prelibati di nascosto dalla nonna, chiamava Dirin il cane, Lilin il gatto ed anche i canarini avevano ciascuno il proprio nome: Biribì, Lillà, Gibil, Gec., e voleva bene a tutti. 

“Se rimaniamo in Cristo, qualunque cosa ci accade, qualsiasi avvenimento può essere aperto all’amore di Dio per noi! Così han vissuto il Padre e Germana.

Scrive don Stefano a Germana 12/07/1908: “… il diavolo cerca di far perdere tempo …. Si perde tempo a esaminare e a rattristarsi di non poter fare ciò che si crede di essere obbligati a fare, mentre sarebbe meglio fare quel poco che si dice e poi abbandonarsi all’obbedienza ….”“Coraggio dunque e confidenza, non pensando continuamente a noi stessi. Umiliamoci continuamente, profondamente delle nostre debolezze e imperfezioni; riconosciamo la nostra grande miseria, senza scoraggiamento; aumentiamo la confidenza in Dio che ama con predilezione le persone che si appoggiano alla sua Provvidenza e bontà infinita!”p. 152.

L’accoglienza era una sua caratteristica. Ancora giovane prete un giorno disse: “se diventerò parroco vorrei che la canonica fosse la casa di tutti”. E fu veramente così! A tutte le ore si era sicuri di essere accolti con sincero amore, non c’era sventura che egli non cercasse di sollevare, in ogni circostanza era presente per dare coraggio con la sua comprensione e il suo sorriso per aiutare all’abbandono in Dio. Tutti sentivano che era buono, sempre dolce e sereno, dimentico di sé per il bene altrui.

Amava la sua parrocchia, la sua comunità, la sua opera, il suo cuore pulsava al ritmo del cuore del mondo intero. Si sentiva parte del suo popolo e ne viveva i fatti a volte anche tragici, le difficoltà, le paure dei singoli e delle comunità. Ai suoi chiedeva di mettersi a servizio dei poveri e degli ultimi. Annunciare la Parola di Gesù era il suo compito primario, conosceva il valore della catechesi, curava i catechisti parrocchiali: la catechesi per gli adulti e per i bambini (specialmente attraverso l'Istruzione domenicale e attraverso “la Squilla”, bollettino parrocchiale in cui scriveva sempre capitoli di catechesi sistematica). Non trascurava mai di offrire pensieri spirituali ad ogni gruppo parrocchiale. Per entrare nel cuore di ognuno creava in parrocchia gruppi per ogni esigenza da quelli caritativi a quelli del sano divertimento. Non aveva paura di perdere tempo a organizzare spettacoli teatrali che servivano sia a chi li faceva sia a coloro che nella comunità ne usufruivano.

Ancor prima che nascesse l’azione cattolica organizzata all’interno della chiesa, don Stefano nella sua parrocchia l’aveva già ideata con diverse faccettature che dovette modificare quando il consiglio diocesano ne diede una specifica fisionomia, rinunciando ad alcuni aspetti con vivo rincrescimento di ognuna delle partecipanti.

Amava la musica e da maestro esperto la componeva, la insegnava e c'erano musica sacre e anche profane. Tra l'altro oggi sentirete il nostro coro e i nostri bravi musicisti che ci offriranno brani composti da lui. Sentirete quale delicatezza, quale armonia, quale amore anche nella scelta dei testi e nell’armonizzazione.

All’accoglienza don Stefano univa l’amicizia. L’amicizia era tra i valori che più apprezzava, che più gli stavano a cuore, che si sforzò di trasmettere. Sentiva di essere stato scelto come amico dal Signore e a sua volta lo era con Lui non solo nei suoi lunghi momenti di preghiera ma anche nella quotidianità della vita.

Fu anche un grande amico delle persone. Tra lui e Germana ci fu vera amicizia profonda, basata sulla fede, rispettosa dei ruoli vicendevoli, confortata dalla fede comune. Questa amicizia umano-divina, rimase per tutta la vita. Fu amico dei suoi parrocchiani che pur rispettandone il ruolo e il ministero sapevano di poter contare sulla sua persona schietta, disponibile, pronta a farsi tutto a tutti.

E per tutti noi è una grande gioia poter constatare che nei gruppi degli Amici di Betania, l'amicizia sia proprio la base del loro trovarsi, confrontarsi, mettersi a servizio, “trasfigurare” la propria vita.

Una vita apparentemente senza grandi manifestazioni quella di Don Stefano; ma, l’amore abituale con cui agiva lo rendeva sempre straordinario nell’ordinario. Il nostro Padre e Germana hanno seminato, le consorelle che ci hanno preceduto hanno seminato, vogliamo seminare anche noi e i piccoli semi prima o poi porteranno, a seconda della volontà di Dio, il loro frutto.

Una parola che troviamo sovente negli scritti di don Stefano che corrispondeva ad un suo sentimento profondo era il “Grazie”. Grazie a Dio che aveva operato in Lui e nelle persone che avevano condiviso un pezzo di cammino con Lui, un grazie a tutti i collaboratori, un grazie per poter essere un cuore solo e un anima sola. E allora a nome delle consorelle, degli Amici, di tutti voi qui presenti, dico grazie a Dio perché ci ha dato don Stefano e Germana, grazie alle tante persone che nascostamente hanno aiutato la Piccola Betania ad offrire qualcosa di buono a Dio e agli uomini, grazie alle Consorelle che sono già con il loro Sposo, grazie agli amici che sono la nostra speranza e la nostra gioia, un grazie sentito al nostro Vescovo, a tutti i sacerdoti e grazie a tutti voi, che con la vostra presenza e la vostra preghiera avete reso più bella e preziosa la nostra festa e ci avete dimostrato il vostro affetto.

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